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Evento segnalato su musica e teatro da:
Associazione Spaghettitaliani



Evento (Spettacoli) inserito in archivio il giorno 22/05/2011

dal 27 al 29 maggio al Teatro Eliseo di Roma: [H] L_Dopa di A. Latella

 

immagine in primo piano

TEATRO ELISEO
Dal 27 al 29 maggio 2011

[H] L_DOPA

drammaturgia di gruppo a cura di
Antonio Latella e Linda Dalisi

con Alexandre Aflafo, Jean-François Bourinet,
Paula Diogo, Estelle Franco, Julián Fuentes Reta,
Natalia Hernandez Arévalo, Dominique Pattuelli,
Luís Godinho, Valentina Gristina,
Daniela Labbé Cabrera, Emiliano Masala,
Martim Pedroso, Daniele Pilli, Ana Portolés

scene e costumi Fabio Sonnino
musiche Franco Visioli luci Giorgio Cervesi Rip
Regia Antonio Latella

NUOVO TEATRO NUOVO
con la partecipazione di
DeVIR-CAPa Centro de Artes Performativas do Algarve

Il 27 maggio alle 20.45 debutta al Teatro Eliseo di Roma lo spettacolo [H] L_Dopa, regia di Antonio Latella.
[H] L_Dopa nasce dall'esperienza del 2006 dell'Ecole des Maitres, e si sviluppa in un laboratorio itinerante con attori di 5 nazioni diverse: Spagna, Portogallo, Belgio, Francia e Italia. Punto di partenza sono i pazienti raccontati da Oliver Sacks in Risvegli, una raccolta di appunti da cui fu tratto anche l'omonimo film con Robert De Niro e Robin Williams nel 1990. L_DOPA è la sostanza che viene somministrata ai malati di Sacks affetti da encefalite letargica per destarli dal "sonno", per riportarli ad una "normalità" conosciuta, un farmaco "miracoloso", difficile da ricondurre all'aspetto più razionale della medicina e delle sue varianti chimiche e matematiche.
Attraverso una partitura drammaturgica divisa in tre quadri - i parenti, la malattia e il sogno - lo spettacolo indaga su quel mondo fantastico che si trova tra sonno e risveglio e sulle metamorfosi che questo tempo induce nei personaggi.

Credere nella guarigione, credere che il teatro sia il luogo dove non si ha paura di esporre la propria malattia, quella fisica, quella mentale, quella dell'anima.
In questo luogo il dolore del mondo e dell'uomo può assumere le tinte di una favola buffa, grottesca, tragica, comica, politica, pur restando sempre una favola che ci aiuta ad esorcizzare il male di vivere.
Se fin dall'inizio accettiamo che la nascita è comunque un lento morire, la vita stessa è malattia, e a noi non resta che l'accettazione di essere solo un passaggio necessario alla vita stessa.
Il teatro ci aiuta a non aver paura dello spettro della vita, il teatro stesso può diventare cura, medicina o anche eutanasia, quell´atto necessario a dare dignità alla morte e alla persona, che nel sonno letargico e vegetativo non potrà mai restituire parole al suo dolore, al suo essere senza fare.
In questo viaggio, cominciato con gli attori da un anno, abbiamo capito che provare a raccontare il malato attraverso un percorso psichico di analisi e di finta ricostruzione di un realismo, sarebbe stata la strada meno corretta da un punto di vista etico: nessun attore può, nonostante il proprio talento, dare verità al dolore vero, sarebbe troppo pericoloso e in alcuni casi anche banalmente consolatorio.Non esiste una risposta che vada bene per tutti, non esiste una medicina generica che possa curare tutti, anche se affetti dallo stesso male.
L_DOPA non salva la vita, può modificarla, piegarla, mutarla, ma non guarirla.
Tutto accade in proscenio e solo quando ci addentriamo nel sogno, riprendiamo possesso del teatro, come ci hanno insegnato i grandi autori, che danno voce al "SOGNO DI UNA VITA" per non farci sentire soli.

Antonio Latella

Uomini fummo, e or siam fatti sterpi

(Dante, Inferno Canto XIII)



C'era una volta, e c'è ancora oggi, un regno che confina con il nostro governato da una musica spaventosa; un paese delle meraviglie, un bosco incantato tra i cui rami si possono incontrare Titania e Oberon, un'impensabile selva di gioiosi dannati che sconvolgono i pentagrammi di quella musica sotto i loro piedi e negli spasmi lenti delle loro mani. In quel regno la metamorfosi è un progressivo spogliarsi dalle sontuosità del mito fino alle singole lettere che lo compongono, e da quell'alfabeto, andando indietro, fino all'impatto con la conoscenza a uno stato puro. Questo mondo ai confini del pensiero contiene altri mondi, e ogni mondo contiene un altro mondo di mondi, fino ad una complessa fantasmagoria sinfonica, in cui ogni nota è fondamentale.
L'architettura drammaturgica rispecchia questa musica, questa geografia di lingue. La storia di questo testo non può prescindere dal carattere multiculturale della compagnia, composta da attori italiani, belgi, francesi, portoghesi e spagnoli. La lingua interna di questa compagnia non può che avere un carattere unico. Il processo creativo poi, attraverso diverse fasi successive di avvicinamento a una materia definitiva, è esso stesso un mondo composto da altri mondi. E infine la natura stessa degli insiemi di parole che compongono il lavoro, corale e polifonica, suona come un componimento. Ogni attore ha scritto. Ogni attore ha composto. Ogni attore ha diretto.
Naturalmente su tutto questo vola protettivo lo sguardo di Kafka, quello di Céline, di Shakespeare, (e al punto origine quello di Antonio Latella) che hanno permesso di affondare l'indagine nel lavoro di Oliver Sacks, e di spogliare quel doloroso miracolo per cui la malattia diventa letteratura.
Il percorso drammaturgico, sia rispetto alla storia del lavoro che all'interno della costruzione stessa, segue gli atti di quel processo. La mia ricerca è andata nella direzione della composizione di uno spartito, attraverso movimenti musicali, arie, recitativi, ensemble, pause.
Il viaggio comincia come una favola e pian piano un lineare alveare - l'insieme delle minuscole stanze di una clinica - si popola di parenti colorati e rumorosi: ogni parente ha la sua piantina da curare, da guardare, da nutrire. Ma un confine si rompe e questi parenti si spogliano, una metamorfosi trasforma quei corpi pittoreschi in esseri che stringendo fortemente a sé il proprio caro, entrano in esso, prendendo il suo posto, nel secondo stadio di una metamorfosi più grande. Nel nuovo alveare irrompe il medico, simile a un dio, come una folata di vento così forte da rompere un rametto di ogni pianta. La selva di pazienti inizia a gemere in un concerto sommesso. Un sibilo che vuole uscire, schiumato di costrizione e dolore, ribollente di impossibilità, in un'insubordinazione contro le fibre legnose dei corpi... La sinfonia è attraversata da un metronomo spietato. Nel terzo stadio, infine, i primi due mondi si fondono nel sogno. Pazienti che sognano la guarigione. Fogli che sognano la tridimensionalità. Fantasie che sognano di poter "essere". Note che sognano di essere voci.
Bisogna aiutare il dottore a trovare la strada, mostrargli il senso della rinascita. Ma è tardi, e la vera, grande solitudine in questa lotta disperata per l'identità è proprio quella del medico e della scoperta della sua impotenza.
Quel percorso dalla malattia alla letteratura dalla geografia complessiva, arriva all'elemento indivisibile dell'alfabeto, la lettera. Dalla musica alla singola nota. Nudità rivelata che è quasi insopportabile.
C'era una volta un regno confinante con il nostro, per il quale mi sarebbe piaciuto costruire un vocabolario, fatto di parole metamorfosate, di lingua contraffatta dalla molteplicità, di suoni evocativi. Una lingua propria solo a questa compagnia, che rendesse ancora più evidente l'unicità dell'esperienza e della straordinaria testimonianza di cui il gruppo è portavoce, con l'insieme delle singole autorialità. Questo è come un sogno inespresso, come un tic ossessivo nel mio pensiero.
Resta l'intuizione di quel regno, di quel paese delle meraviglie, di quel bosco di statue viventi, di creature legate e loquaci. La vita imprigionata è mito. In esso la lotta per l'identità si fa scopo di vita, ed è forse una delle cose più forti che accomuna gli abitanti di questo regno. L'equilibrio su un mare sterminato di antinomie e l'oscillazione continua, ritmata da una manifestazione all'altra. Senza regole. Nulla di raccontabile con le semplici parole.

S'io disparisco sarà per tutti gli altri ma non per te.
M'imprimisco nei muscoli tutte quelle brutte inclinazioni e la mia corea ha il senso del mondo.
Tutta la mia vita richiudata qui, accanto a lei. Accanto a lui.
Metamorfosata, la mia vita, da quando lui è qui. Da quando lei è qui. Da quando io sono qui.
Mi sento cupabile. Infinitamente. Costretta io, costretto lui.
Non riesco a parlare, non m'esce parola. Nessun modo di soluzionare.
Ma io sto parlando e nessuno mi sente. Sibila, gorgoglia e fuma l'estremità dei miei rami.
L'estremità spezzata da cui esce il mio nome:
Yo (alcolizzato vibrato)
Je (adagio amorevole)
Io (sussurrato sospettoso)
Je (lento profetico)
Je (calmo svampito)
Eu (melanconico speranzoso)
Eu (odioso sussurrato)
Io (interrogativo moderato)
Yo (grave ritmato)
Je (disperato calmo)
Yo (imperativo andante)
Eu (affermativo morendo)
Je (vivace contraffatto)

Linda Dalisi

ORARIO SPETTACOLO: ore 20.45 - domenica ore 17.00
durata: 3h e 30'

I° Platea euro 32 - II° Platea euro 30 - Balconata euro 28
I° Galleria euro 17 - II° Galleria euro 11
Ridotto giovani e gruppi: fino al 36%

 

 

 

 

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