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Biografia

 

Low si formano nei primi anni Novanta a Duluth, in Minnesota.

Low sono probabilmente i musicisti più lenti e calmi di quello che viene definito lo “slowcore”.

Delicati, austeri, ipnotici.

Il progetto Low nasce essenzialmente come un esperimento o come una reazione alla predominanza del grunge.

Nei loro album infatti il trio (inizialemente formato dai coniugi Alan Sparhawk -voce e chitarra- e Mimi Parker -voci e batteria- con il bassita John Nichols) non supera quasi mai la soglia del sussurro e del sospiro, lasciando scaricare la tensione drammatica nello spazio del silenzio.

Quasi immediatamente vengono notati da Kramer, produttore di Shimmy Disc, e presto vengono invitati a registrare ai Noise N.J. Studios: il risultato (un paio di demo tape) gli consente di chiudere un contratto con la Vernon Yard.

Nel 1994 esce il loro album di debutto “I Could Live in Hope” che definisce già le bellissime e accattivanti scelte estetiche sonore minimali (il drum set di Mimi Parker, tanto per fare un esempio, consisteva solo di piatti).

Nichols lascia la band e “Long Division”, che esce nel 1995, è registrato con il nuovo bassista Zak Sally.

Low registrano anche un pezzo per “A Means to an End”, tributo ai Joy Division, un discorso ripreso ed ampliato in “Transmission EP”, 5 tracce tra le quali notiamo anche “Jack Smith” dei Supreme Dicks.

Nel 1996 esce “The Curtain Hits the Cast” (prodotto, questa volta, da Steve Fisk) cui segue, nel 1997, “Songs for a Dead Pilot EP”. Sempre nel 1997 Low firmano con la Kranky per la quale, nel 1999, esce “Secret Name” e “Things We Lost in the Fire” nel 2001.

“Things We Lost in the Fire” è decisamente l’album più acclamato dei Low.

L’anno successivo esce “Trust”, scuro, dark come non se ne sentivano da anni.

Il loro settimo e ultimo album “The Great Destroyer” è uscito da poco per la Rough Trade.

Sparhawk, e tutto il trio, sono restii a interviste e spiegazioni e da più di un decennio, Low sono riusciti a mantenere l’attenzione sulla loro musica con discrezione.

“The Great Destroyer” è a maggior ragione un’evoluzione, un allontanamento dalla convenzione: dopo 10 anni e 7 album, abbandonano il loro slowcore e si danno un po’ al rock.

Dallo slow motion, se così si può dire, Low passano ad un album un po’ più “veloce” in cui i tempi delle canzoni vengono accelerati e il disco acquista decisamente in dinamicità.

L’album è stato prodotto da David Fridmann (The Flaming Lips e Mercury Rev).

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