Articolo inserito da Renato Aiello il giorno 19/03/2022 alle ore 17.40.14
È un omaggio alla lunga carriera di Gianni Piacentino la mostra che si inaugura il 19 Marzo nella nuova sede della Galleria Claudio Poleschi Arte Contemporanea a San Marino. Omaggio frutto della passione del gallerista che negli anni ha collezionato molti pezzi esclusivi di un artista atipico, solitario, oggi sempre più riconosciuto come centrale tra i movimenti stilistici sviluppatisi dagli anni Sessanta. Gianni Piacentino per oltre cinquant'anni ha infatti perseguito con pervicacia ossessiva una ricerca molto personale, fino a rischiare di apparire avulso dal contesto artistico, ma che sempre più si rivela come una sorta di anello di congiunzione che connette le diverse poetiche di questi decenni. "Una ricerca di transizione tra Pop Art e Minimalismo", la definiva Germano Celant in occasione della grande retrospettiva allestita alla Fondazione Prada nel 2016. Un'opposizione "ricca" alla primarietà materica dell'Arte Povera, la descriveva Renato Barilli già negli anni precedenti, riconoscendo nelle colorazioni sofisticate e nelle forme eleganti il contrappunto all'allora imperante poverismo.
Così, se i primi lavori della metà degli anni Sessanta sembravano riflesso del Minimalismo americano (ma già con colorazioni micalizzate di tonalità ricercate), ben presto ci si accorge che quei parallelepipedi sono come i prototipi di componenti di strutture più complesse, pezzi di ricambio che di lì a poco daranno luogo a telai, carrozzerie, scocche, evolvendo in geometrie eleganti, trapezoidali, aerodinamiche, affusolate. Ben presto emerge un mondo di veicoli e di velivoli, simulati, allusi, ma con tutto il connesso bagaglio di brand image, di loghi e di icone che contribuiscono a costruire un immaginario mitico, da Gran Premio di altri tempi, da Mille Miglia o Targa Florio. In mostra alcune delle opere storiche di questo periodo, Black Scooter II, 1969, o Gray, Silver, Black Triangle Vehicle, 1971, o Nickel Frame Veihicle with Front Mark II, sempre del 1971. Poi, mentre esempi di loghi e icone sono Black Wall Triangle, I (1971) e Pearl Wall Wing with Signed Nickel Plate (1971), le forme tendono a condensarsi, si riducono a fusoliere, come concentrati di energia motoria pronti a scattare, quali Small R.V. Chrome Race, 2 (1998) o Light Violet_Blue Record Vehicle (Silver stripe chequered front, MS) e Light Sky_Blue Record Vehicle (Silver stripe chequered front, MS) entrambi del 2004-2006. Tra questi due estremi - lo sviluppo di grandi strutture e la concentrazione in forme sintetiche - si sviluppa tutta la produzione dell'artista nel corso degli anni, con fughe in avanti sempre seguite da ritorni, da recuperi di modelli del passato. Un lavoro costante, ripetitivo, persino apparentemente monotono, ma che invece tocca i gangli più profondi della sensibilità umana: la nostra attrazione per la tecnologia, l'aspirazione al movimento, l'ideale della perfezione.
Con sottili variazioni, a volte quasi impercettibili, è come se Gianni Piacentino producesse una variegato parco macchine, innumerevoli declinazioni dell'automobile ideale, la "sposa meccanica" di cui parlava McLuhan.
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