Articolo inserito da Angela Viola il giorno 15/06/2013 alle ore 08.57.32
La viticoltura vesuviana che sia antica lo dimostra il fatto che tanti poeti latini vissuti prima di Cristo, parlando dei prodotti della Campania Felix, dicevano delle preferenze che i Romani nutrivano per i vini del Vesuvio. Le antiche tradizioni enologiche della intera area vesuviana trovano origine con Aristotele (filosofo greco vissuto tra il 3° ed il 2° secolo a.C.) il quale sostiene che i Tessali – antico popolo della Magna Grecia – impiantarono le prime viti nella zona Vesuviana allorché, nel 5° secolo a.C. si stabilirono in Campania.Anche i vitigni coltivati in questa areale hanno una sua origine storica sia il vitigno Coda di Volpe che il Piedirosso. Coda di volpe viene descritto già da Vincenzo Semmola, e da Gasparrini 1844 mentre il Piedirosso chiamato anche Palommina veniva descritto da Plinio nella sua “Naturalis Historia” ma anche da Columella nel 1804 e da Semmola 1848, Froio (1875), Arcuri e Casoria (1883). Poseidone ed Efesto hanno tenuto a battesimo le prime bacche. Nettuno e Vulcano hanno visto scorrere il nettare primitivo dalle pendici del Vesuvio fino al mare. Gli dei greci prima e romani poi, del mare e del fuoco, probabilmente sono stati i protettori, i numi tutelari dei vitigni, che affondano le radici nel cuore di una terra ribollente e allungano i loro tralci sulla costa tirrenica. È una questione di archeologia. I grandi bianchi baciati dal sole, i rossi annaffiati dalla lava dello “sterminator vesevo”, non come appare oggi, ma quando era in piena attività.
Uno sguardo attento, ancorché alla geografia della Campania coglie immediatamente la presenza di due fulcri geologici di origine vulcanica fondamentali per comprendere l’origine, evoluzione e le caratteristiche della viticultura campana. Il complesso Somma – Vesuvio e il sistema vulcanico dei Campi Flegrei. Proprio questi due nuclei geografici rappresentano oggi gli ambienti ideali e più ricchi di varietà di viti e di tradizioni colturali ad esse associate. La viticoltura attuale vesuviana comprende l’area che va dalle ultime falde fino a due terzi dell’altezza del Vesuvio. Le viti vesuviane sono coltivate in terreni che hanno una diversa giacitura, ricchi di declivi naturali e ben esposti. Il territorio vitato è ripartita in due zone. Quella comprendente l’Alto Colle Vesuviano oltre i 200 m s.l.m., caratterizzata da terreni tutti più o meno in pendio; l’altra del Versante sud-orientale del Vesuvio, i cui terreni sono fertili ed idonei e rivolti verso il mare.
L’areale del Lacryma Christi ha una dimensione pittoresca, caratterizzata dai toni verdi dell’Appennino Campano fino all’azzurro mare Tirreno. In questa cornice domina la selvaggia bellezza del Vesuvio, cratere attivo di antichissima origine, da sempre conosciuto per i sapori e aromi dei suoi vini, come testo miniano anche le pitture dell’Arario negli scavi di Pompei. Il Lacrima Christi del Vesuvio è il più famoso ed è tra quelli più citati nella letteratura enologica. Un vino circondato dalle numerose leggende. Si narra che un pezzo di Paradiso precipitò nel golfo di Napoli quando Lucifero ne fu scacciato. Cristo addolorato per la perdita di colui che era stato l’angelo più buono, pianse. Là dove caddero le sue lacrime, nacquero delle viti il cui vino si chiamò appunto, Lacryma Christi. Ma non è la sola leggenda, narra infatti che Cristo, in una delle sue discese sulla Terra, per ringraziare un eremita redento, gli trasformò una imbevibile bevanda in vino eccellentissimo. Vitigni che costituiscono questo vino sono detti “di fuoco”, celebrati da Plinio il Vecchio e accreditati in età moderna tra i vini più prestigiosi d’Italia. E chi giunse in questa zona dalla lontana Francia o dalla fredda Inghilterra, lo vide con i propri occhi e lo provò sotto il proprio palato. Infatti dopo le eruzione del 79 di Pompei ed Ercolano, ove la furia del vulcano non ha impedito a edifici, templi e terme e case di riemergere dalla lava, alla scoperta di quelle lacrime che Cristo, secondo la leggenda, avrebbe versato dinanzi alla scoperta che il golfo di Napoli con il Vesuvio, altro non era che un pezzo di paradiso rubato a Lucifero. Esempi di apprezzamenti sulle caratteristiche qualitative di questo vino erano già descritte dal bottigliere del papa Farnese Sante Lancerio si preoccupava di controllare tutte le bottiglie che i nobili e potenti donavano al Pontefice.
In particolare per i vini ottenuti dal Vesuvio afferma ”sono vini molto fumosi et possenti, et a tutto pasto si potriano bere, ma offendono troppo il celabro, massime alii principii, ma ci sono delii stomachevoli et non fumosi et odoriferi. Il bottigliere usava di continuo beverne ad igni pasto, per una o per due volte et anchora ne voleva nelli suoi viaggi” (note di viaggio oggidi – sec XVI).
Tratto dal Disciplinare della DOC Vino Vesuvio
[center]Pagina dedicata al Vino Vesuvio DOC all'interno dello Speciale Vini[/center]
La prossima puntata sarà dedicata al Vino Nobile di Montepulciano DOCG
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