Evento (Mostre) inserito in archivio il giorno 25/07/2019
Dal 19 luglio al Museo Frac di Baronissi apre al pubblico fino all'8 settembre la mostra di Antonio Caporaso e Jacopo Naddeo, URBS PICTA. Il sogno, la frattura le immagini. Curata dal direttore Massimo Bignardi su progetto degli autori, propone oltre quaranta scatti fotografici dedicati al patrimonio industriale salernitano da tempo in disuso, diventato 'luogo' di marginalità e, al tempo stesso, di una vivace espressione di autentica creatività di giovani artisti della Street Art. Un repertorio di immagini di forte impatto che documentano sia impianti industriali dell'Ottocento, sia quelli nati nel secolo XX, soprattutto, le industrie che hanno segnato la stagione del "miracolo economico" in area salernitana. «Una documentazione - osserva il Sindaco Gianfranco Valiante - di grande rilevanza per chi con ha idea di quello che un tempo era l'industria nei nostri territori, con esempi di significativa produttività dell'intera area. Documenti fotografici che parlano dell'attualità, della frattura, del decadimento». Il Museo-FRaC affianca «l'attività dell'associazione Overline - afferma Massimo Bignardi - che da tredici anni si fa carico di OVERLINE JAM, una delle manifestazioni più interessanti della street art internazionale, ospitata a Baronissi e sostenuta dall'Amministrazione comunale. È un modo per dialogare e tessere a filo doppio un confronto interno/esterno con la creatività espressa dalle nuove generazioni, cercando di ampliare lo sguardo su quanto accade nella nostra realtà. Con questa mostra il confronto si allarga toccando i luoghi, le architetture di una stagione posta sotto il segno di una surmodernità e che impietosamente ci mostra il lato oscuro del fallimento del progetto di industrializzazione, ora tristemente ridotto a rudere della modernità». «La nostra osservazione - scrivono Antonio Caporaso e Jacopo Naddeo nel depliant che accompagna la mostra - è partita dai siti industriali esistenti lungo le strade periferiche delle nostre città. Grigi, cadenti e ingombranti, essi ci sono apparsi come dei relitti di un tempo passato, minacciosi per la nostra salute e per l'ambiente circostante. Le domande che ci siamo posti sono state tante: "Cosa è rimasto all'interno di queste fabbriche dove una volta pulsava una vita produttiva, una vita legata al lavoro di tanti operai? Perché queste fatiscenti strutture non possono tornare ad essere beni comuni, e produrre nuove economie, riqualificando le zone che le ospitano? E in che modo possono essere recuperate alla collettività?" Se da un lato il "capannone abbandonato" è emblema di un processo di desertificazione produttiva del territorio che si traduce in lacerazioni profonde del tessuto sociale ed economico - basti pensare agli impatti sull'occupazione e sul reddito delle famiglie determinati dalla chiusura delle fabbriche - dall'altro, quasi paradossalmente, l'area dismessa è una formidabile risorsa per il sistema economico locale. Essa può trasformarsi, infatti, in uno spazio ridisegnato, rigenerato per nuove attività produttive, attorno alle quali il territorio può scommettere su un futuro diverso di sviluppo. La "Street Art Factory", può essere un modo per far ritornare in vita quei vecchi opifici industriali in disuso con il riuso di questi spazi. Quegli scheletri di cemento e vetri, destinati ad un esponenziale degrado possono ritornare a vivere anche grazie all'opera di writers che in alcune città, li hanno eletti loro sedi di riferimento, e poco alla volta li stanno trasformando in laboratori-atelier, spazi di produzione culturale, utilizzando i muri (almeno quelli che restano) come se fossero delle tele. Questi luoghi, attraverso una seria e fattiva progettazione, potrebbero essere restituiti alle comunità».
comunicato stampa
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